mercoledì 27 agosto 2008

Il bestiame capta il magnetismo terrestre


L'uomo non finirà mai di imparare. L'ultima novità nel campo delle neuroscienze viene da Google Earth, dunque dall'analisi di immagini satellitari e osservazioni sul campo, anzi sui campi. Osservando bene 8510 capi di bestiame appartenenti a 308 pascoli, e 2974 caprioli in 241 località diverse, gli autori di uno studio pubblicato su PNAS si sono accorti che, quando brucano e quando riposano, questi animali (soprattutto mucche, credo) allineano il corpo in direzione nord-sud, con la testa rivolta al nord magnetico.

Esclusi il fattore vento ed il fattore luce, l'unica spiegazione di questo fenomeno ubiquitario è l'allineamento magnetico. La conferma è arrivata studiando animali di regioni dalla forte declinazione magnetica. Un numero statisticamente significativo di bestie allineava il corpo in direzione nord-sud.

Questo apre la ricerca sulla magnetorecezione animale e dei mammiferi in particolare. Ora sta ai biologi e neuroscienziati scoprire qual sia il meccanismo in gioco.

martedì 26 agosto 2008

Chiedo venia

Negli ultimi giorni ho dovuto tralasciare l'aggiornamento del blog (alcuni mi hanno anche ringraziato di questo) perchè mi sono dedicato a caricare video su YouTube. Sono video autoprodotti (... !) per cui mi hanno richiesto un certo impegno.

Niente paura, non faccio bullismo, non mi vedrete spaccare i cessi dell'Università (anche perchè, qualora qualcuno riuscisse a trovarli, li troverebbe già spaccati oppure non si avventurerebbe per paura di Ebola - e dire che si tratta di un ospedale universitario!).

Questa fantasmagorica attività autoeditoriale (che pena) è condensata nella home page che i gestori di YouTube mi dedicano (ci mancherebbe, non solo diventano fantastiliardari anche grazie a me che non ne ricavo una lira, nemmeno la homepage mi devono dare?) e che è precisamente questa (http://www.youtube.com/user/framaulo). Lo chiamano "canale", spero che non diventi un canale di scolo oppure un canalone, come ne ho visti in giro.

mercoledì 20 agosto 2008

Riflessioni sul conflitto Russia-Georgia (parte 2)

Riporto degli stralci da un reportage a firma di Bernard-Henri Lévy, inviato in Georgia (Corriere della Sera), intitolato Georgia nuova Cecenia, traduzione di Daniela Maggioni.

La prima cosa che colpisce appena si esce da Tbilisi è l'inquietante assenza di qualsiasi forza militare. Avevo letto che l'esercito georgiano, sconfitto in Ossezia, poi sbaragliato a Gori, aveva ripiegato sulla capitale per difenderla. Ebbene, giungo nei sobborghi della città. Avanzo di 40 chilometri sull'autostrada che taglia il Paese da Est a Ovest. Di questo esercito che si ritiene essersi concentrato per opporre una resistenza accanita all'invasione, quasi non si vede traccia. Qui c'è un posto di polizia. Più lontano, un gruppo di soldati in uniformi troppo nuove. Ma non un'unità combattente. Non un pezzo di difesa antiaerea. Nemmeno quel paesaggio di blocchi e sbarramenti che, in tutte le città assediate del mondo, dovrebbero ritardare l'avanzata del nemico. [...] Forse l'esercito georgiano c'è, ma è nascosto? Pronto a intervenire, ma invisibile? Siamo in una guerra dove l'astuzia suprema è, come nelle guerre dimenticate d'Africa, di apparire il meno possibile? O il Presidente Saakashvili ha scelto di non combattere, come per mettere europei e americani davanti alla proprie responsabilità e alle proprie scelte («pretendete d'essere nostri amici? Ci avete detto cento volte che con le nostre istituzioni democratiche e il nostro desiderio d'Europa il nostro governo — in cui siedono (fatto unico negli annali) un primo ministro anglo-georgiano, ministri americano-georgiani, un ministro della difesa israelo-georgiano - era il primo della classe occidentale? Ebbene, è il momento di provarlo»)? Il fatto è che la prima presenza militare significativa nella quale ci imbattiamo è un lungo convoglio russo, almeno cento veicoli [...] poi, a quaranta chilometri dalla città, all'altezza di Okami, ecco un battaglione, sempre russo, appoggiato da un'unità di blindati che ha il compito di impedire il passaggio ai giornalisti in una direzione e ai profughi nell'altra. Uno dei profughi, un contadino ferito alla fronte ancora inebetito dal terrore, mi racconta la storia di questo villaggio, in Ossezia, da dove è fuggito a piedi tre giorni fa. I russi sono arrivati. Sulla loro scia, le bande di osseti e cosacchi hanno saccheggiato, violentato, assassinato. Come in Cecenia, hanno raggruppato giovani uomini e li hanno imbarcati in camion verso destinazioni sconosciute. Sono stati uccisi padri davanti ai figli. Figli davanti ai padri. [...]

Vicino a Gori, la situazione è diversa e improvvisamente diventa tesa. [...] un check point più importante del precedente, che blocca il gruppo di giornalisti al quale ci siamo uniti. Soprattutto, ci dicono chiaramente che ora non siamo più i benvenuti. «Siete in territorio russo — abbaia un ufficiale gonfio d'importanza e di vodka —. Può andare avanti solo chi è accreditato dalle autorità russe». Per fortuna, sbuca un'auto del corpo diplomatico. È dell'ambasciatore dell'Estonia. A bordo, oltre all'ambasciatore, c'è il Segretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza, Alexander Lomaia, che ha l'autorizzazione di andare a cercare i feriti dietro alle linee russe, e accetta di farmi salire in macchina insieme alla deputata europea Isler-Beguin e a una giornalista del Washington Post. «Non posso garantire la sicurezza di nessuno, previene. È chiaro?». È chiaro. E ci stringiamo nell'Audi che si dirige verso Gori. Dopo altri sei check point, arriviamo a Gori [...] possiamo vedere incendi a perdita di vista [...] razzi illuminanti [...] odore di putrefazione e di morte. Poi, l'incessante rimbombo di blindati e auto civili piene di miliziani riconoscibili dalla fascia bianca attorno al braccio e dai capelli trattenuti da una bandana. Gori non appartiene a quell'Ossezia che i russi pretendono di essere venuti a «liberare». È una città georgiana. Ebbene, l'hanno bruciata. Saccheggiata. Ridotta a città fantasma. Svuotata. «È logico, spiega il generale Vyachislav Borisov, mentre nel fetore e nella notte aspettiamo in piedi il ritorno di Lomaia. Siamo qui perché i georgiani sono degli incapaci, [...] e su un cellulare mi mostra alcune foto di armi, di cui sottolinea pesantemente l'origine israeliana. «Credete forse che potevamo lasciare questo bazar senza sorveglianza?». [...] «Abbiamo convocato a Mosca il ministro degli Esteri israeliano. Gli è stato detto che, se continuava a rifornire i georgiani, noi avremmo continuato a rifornire Hezbollah e Hamas». Avremmo continuato...Che confessione! [...]

Il presidente Saakashvili, affiancato dal suo consigliere Daniel Kunnin, ascolta il mio racconto. [...] È giovanissimo. Di una giovinezza rivelata dall'impazienza dei gesti, lo sguardo febbrile, i bruschi scoppi di risa. Del resto, tutti sono molto giovani. Ministri e consiglieri sono borsisti di fondazioni tipo quella di Soros, i cui studi a Yale, Princeton, Chicago sono stati interrotti dalla Rivoluzione delle Rose. È francofilo e francofono. Appassionato di filosofia. Democratico. Europeo. Liberale nel duplice senso — americano ed europeo — della parola. Di tutti i grandi Resistenti che ho incontrato nella mia vita, di tutti i Massud o Izetbegovic di cui ho preso le difese, è quello più evidentemente estraneo all'universo della guerra, ai suoi riti, ai suoi emblemi, alla sua cultura. Ma vi fa fronte. «Lasciatemi precisare una cosa, mi interrompe con improvvisa gravità...Non bisogna lasciar dire che siamo stati noi a iniziare la guerra...Siamo al principio di agosto. I miei ministri sono in vacanza. Io mi trovo in Italia, per una cura dimagrante e sono sul punto di partire per Pechino. Ecco che, sulla stampa italiana, leggo: «Preparativi di guerra in Georgia». Ha capito bene: sono lì, tranquillo, in Italia e leggo che il mio Paese sta preparando una guerra! Sentendo che c'è qualcosa che non va, torno subito a Tbilisi. E cosa vengo a sapere dai miei servizi segreti? Che i russi, nel momento stesso in cui riempiono le agenzie stampa di queste chiacchiere, stanno svuotando Tskhinvali dei suoi abitanti, ammassano truppe, trasporti di truppe, addetti al rifornimento di nafta in territorio georgiano e fanno passare colonne di carri armati attraverso il tunnel Roki, che separa le due Ossezie. Allora, supponga di essere responsabile di un Paese e di apprendere tutto questo. Che fare?». Si alza, risponde a due cellulari che suonano contemporaneamente, ritorna, stira le gambe. «Al centocinquantesimo carro armato posizionato di fronte alle vostre città, si è obbligati ad ammettere che la guerra è cominciata e, malgrado la sproporzione delle forze in campo, non si ha più scelta...». Con l'accordo dei suoi alleati, gli chiedo? Avvertendo i membri di quella Nato di cui le hanno sbattuto la porta in faccia? «Il vero problema è quel che è in gioco in questa guerra. Putin e Medvedev cercavano un pretesto per invaderci. Perché? Primo: siamo una democrazia e quindi incarniamo, per quanto riguarda l'uscita dal comunismo, un'alternativa al putinismo. Secondo: siamo il Paese dove passa il Btc, l'oleodotto che collega Baku a Ceyhan via Tbilisi; di modo che, se cadiamo, se Mosca mette al mio posto un impiegato di Gazprom, voi europei sarete dipendenti al cento per cento dai russi per l'approvvigionamento energetico. Terzo: guardi la mappa. La Russia è alleata dell'Iran. Anche i nostri vicini armeni non sono lontani dagli iraniani. Immagini che a Tbilisi si installi un regime favorevole alla Russia. Avremmo un continuum geostrategico che andrebbe da Mosca a Teheran. Spero che la Nato lo capisca.

[...] L'incontro avviene alle quattro del mattino. Saakashvili ha trascorso la fine della giornata con la Rice. La vigilia con Sarkozy. All'una come all'altro si dice grato per i loro sforzi, per il loro interessamento e per la loro amicizia. Il Presidente ha un'aria malinconica. Forse si interroga sullo strano atteggiamento dei propri amici. Per esempio, sull'accordo di cessate il fuoco che ha ottenuto l'amico Sarkozy e che è stato redatto a Mosca, a quattro mani, con Medvedev. Saakashvili rivede col pensiero il Presidente francese, qui, in questo stesso ufficio, così impaziente di farlo firmare. Lo sente alzare la voce, quasi gridare: «Non hai scelta, Misha, sii realista; quando i russi arriveranno per destituirti, nessuno dei tuoi amici alzerà un dito per salvarti». E che strana reazione quando lui, Misha Saakashvili, ha ottenuto che chiamassero comunque Medvedev, il quale ha fatto rispondere che stava dormendo. Erano solo le 9, ma dormiva ed era irraggiungibile fino all'indomani mattina: anche il Presidente francese si è infuriato; l'amico francese non ha voluto aspettare. Fretta di rientrare? Troppo sicuro che l'essenziale fosse di firmare, qualsiasi cosa, ma firmare? Non è così, pensa Misha, che si negozia. Non è così che ci si comporta con gli amici. [...] È l'americano Richard Holbrooke, diplomatico di grosso calibro e vicino a Barak Obama, ad avere l'ultima parola: «In questa vicenda aleggia un cattivo odore di pacificazione forzata e di accordi di Monaco». O siamo capaci di alzare veramente la voce e di dire, in Georgia, basta a Putin. Oppure, l'uomo che è andato, secondo le sue stesse parole a «inseguire fin nei cessi» i civili ceceni, si sentirà in diritto di fare la stessa cosa con qualunque suo vicino. È così che si devono costruire l'Europa, la pace e il mondo di domani?

lunedì 18 agosto 2008

Riflessioni sul conflitto Russia-Georgia

Come noto, l'orso russo si è svegliato. Vorrei riportare qui alcune riflessioni sul conflitto-lampo che mi interessa anche per ragioni personali (ho dei piccoli amici a Tbilisi) e che sta finalmente riscaldando la Guerra Fredda.


1) Ruolo dell'Europa nella mediazione NATO-RUSSIA

I presidenti americani Bush padre e Clinton garantirono a Gorbaciov che la NATO non si sarebbe espansa all'interno dei confini dell'ex impero dell'Unione Sovietica. Ma già nel 1998 questa solenne promessa fu rotta con l'annessione alla NATO di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. La Russia aveva anche tollerato l'annessione di Estonia, Lettonia e Lituania. Praticamente oggigiorno 6 Paesi del Patto di Varsavia e 3 repubbliche ex-URSS sono oggi membri della NATO (vedi mappa).

Ma la richiesta di portare Ucraina e Georgia nella grande famiglia è stata eccessiva, ha reso evidente a tutto il mondo che gli Stati Uniti stessero cercando di accerchiare e spaccare la Russia. All’ultimo vertice NATO (tenuto a Bucarest all'inizio di aprile 2008) GW Bush tentò in tutti i modi di convincere l'Europa dell'importanza di una annessione immediata di Georgia e Ucraina al Patto Atlantico. Putin naturalmente si arrabbiò come una belva. Ma l'Europa, e in particolare Sarkozy e Merkel che tanto in questi giorni si stanno dando da fare per mediare, decisero di prendere tempo, ovvero decisero di non decidere, come spesso accade all'euroburocrazia.

Fonte: Repubblica, Panorama.

Da questo se ne può trarre una conclusione. Probabilmente Bush e Saakashvili avevano in mente la guerra contro l'Ossezia già in aprile, e volevano prevenire ogni tipo di intervento russo inserendo la Georgia nell'ambito NATO. In tutto questo l'ottusità e la passività dell'Europa sono state almeno parzialmente colpevoli (il grosso della colpa ce l'ha naturalmente il tandem Bush-Saakashvili, sostenuto come vedremo da... Israele).


2) Stanchezza degli USA, Europa sotto scacco

Il conflitto in Georgia ha riconfermato la Russia nell'opinione pubblica come grande potenza militare e politica. Ha reagito prontissimamente (nell'arco di poche ore), precisamente e accuratamente all'invasione dell'Ossezia, che evidentemente si aspettava, e ha vinto la guerra. Tutto questo nel grande palcoscenico mediatico in cui la Cina olimpica si impone come la nuova superpotenza mondiale, economica, politica e militare.



Ma la cosa più importante è che la Russia ha dimostrato di poter invadere ed occupare un Paese filo-americano senza timore di rappresaglie e ritorsioni sul campo, ovvero senza la minima reazione bellica da parte di Europa e USA, che hanno scelto da subito la strada della mediazione diplomatica, e delle minacce ("gravi conseguenze per Mosca se...", ma si sa, il can che abbaia non morde).

AL contrario è risaltata la debolezza degli USA, impantanati nel nuovo Vietnam (Iraq ed Afghanistan), nel potenziale conflitto con l'Iran e con il Pakistan sul filo del rasoio. Semplicemente gli USA non sono numericamente in grado di intervenire nella zone periferiche russe. Questo suona come un potente avvertimento a vari Paesi filo-americani come Ucraina e Polonia. Non per niente, Bush si è subito affannato a concludere l'accordo per lo scudo missilistico con Varsavia. L'immediata risposta di Mosca è stata "la Polonia rischia una ritorsione militare". Se Bush non è intervenuto a salvare Tbilisi, non interverrà neanche a Varsavia.

Fonte: Il sole 24 ore.

D'altra parte, l'Europa è suddita di Mosca per quanto riguarda il fabbisogno energetico. E dalla Georgia parte l’unico oleodotto che fa arrivare il petrolio del Caspio all’Europa Occidentale senza passare attraverso la Russia.


3) Il ruolo di Israele.

Chi l'avrebbe mai detto che (anche) dietro il conflitto Russia-Georgia ci fosse... Israele. Lo spiega con dovizia di particolari Maurizio Blondet dalle pagine di "effedieffe.com". Il ministro per la reintegrazione territoriale georgiano, ovvero l'individuo che ha il compito di riprendersi Ossezia e Abkhazia, si chiama Temur Yakobashvili ("Temur figlio di Giacobbe"), è un israeliano e, il giorno dell’attacco georgiano all'Ossezia, disse che «Israele deve essere fiero (should be proud) della preparazione che ha dato alle nostre truppe». Dal suo punto di vista, il cessate-il-fuoco mediato da Sarkozy suona come un alto tradimento: «Israele ci ha tradito come gli europei e gli Stati Uniti [...] Israele deve proteggere gli interessi che ha qui: ci sono molti uomini d’affari israeliani che hanno investito denaro, e un Paese deve proteggere gli investimenti dei suoi cittadini». Viene fuori che privati israeliani hanno investito in Georgia per oltre un miliardo di dollari. INoltre Israele riceve petrolio attraverso un oleodotto georgiano.

Fonte: atimes.it

Anche il ministro della Difesa georgiano è ebreo, si chiama David Kezerashvili: è «un israeliano che parla ebraico correntemente ed ha fortemente contribuito alla cooperazione fra i due Paesi».

Fonte: Arie Egozi, «War in Georgia: the Israeli connection», YNET.News, 10 agosto 2008.

Aggiornamento 2 settembre 2008 Ecco cosa chiede in cambio Israele a Saakashvili dopo averne armato e addestrato l'esercito: usare la Georgia come base militare di attacco all'Iran. Il cerchio pare chiudersi. Fonte: Middle East Times.

4) La guerra giornalistica

Il sito della CNN ha promosso un sondaggio, chiedendo ai lettori se l'intervento russo fosse un'azione di pace o piuttosto un'invasione bella e buona. Ebbene il 92% dei lettori americani ha ritenuto l'intervento russo una legittima difesa, cosa che ha spinto la CNN a rimuovere immediatamente il sondaggio dalla Rete, per cui è visibile solo in alcuni screenshot:
- imageshack
- digg.com

D'altra parte il solito Blondet ha sgamato cosa si nasconde dietro un abominevole servizio fotografico della Reuters (fonte: Effedieffe): un prezzolato che posa in lacrime.

sabato 2 agosto 2008

Michael Bublè e Katie Melua: un duo che mi piacerebbe ascoltare

In questo fiacco e flautato tempo di pace, mentre contemplavo le mie deformità come Riccardo III (la meditazione quindi serve a qualcosa!), ho rimuginato che mi sarebbe graditissima sorpresa trovare tra le (normalmente penose e scontatissime) novità musicali, un duo: Michael Bublè e Katie Melua (lo so, finisco sempre lì). Magari sotto l'egida protettrice di Frank Sinatra o Ella Fitzgerald.

Questi due hanno tante grandi cose in comune. Tra le più significative: amano il jazz e il blues, sono straordinariamente bravi e preparati, fanno bellissime canzoni, reinterpretano in maniera egregia grandi canzoni, sono incredibilmente impermeabili alle porcherie del gossip parishiltoniano e alle stramberie dello star system cui siamo tristemente abituati e di cui ne abbiamo piene le tasche (e poi non ci sarebbe alcun pericolo, essendo il Bublè felicemente fidanzato). Voglio dire, non solo non si drogano, ma ...cantano le canzoni di Natale e donano fondi alla Croce Rossa.

Sostanzialmente si potrebbe rinnovare, dopo tanto tempo, il miracolo di una bella musica portatrice di valori, se non sani, quantomeno non insani. Chissà se qualche produttore è in ascolto e accoglie la mia utopica richiesta.





The tables are empty, the dance floor's deserted.
You play the same love song - it's the tenth time you've heard it.
That's the beginning, just one of the clues.
You've had your first lesson in learnin' the blues.

The cigarettes you light, one after another,
Won't help you forget her, and the way that you love her.
You're only burnin' a torch you can't lose.
But you're on the right track for learnin' the blues.

When you're at home alone,
The blues will taunt you constantly.
When you're out in a crowd,
The blues will haunt your memory.

The nights when you don't sleep, the whole night you're crying.
But you can't forget her, soon you even stop trying.
You'll walk that floor and wear out your shoes.
When you feel your heart break, you're learnin' the blues.

When you're at home alone,
The blues will taunt you constantly.
When you're out in a crowd,
Those blues will haunt your memory.

The nights when you don't sleep, that whole night you're crying.
But you can't forget her, soon you even stop trying.
You'll walk the floor, and you'll wear out your shoes.
When you feel your heart break, you're learnin' those blues.